Estate in Sicilia (Sicilian Summer), 2018. 130x103 cm, C-type print, edition of 8 + 2AP
Testo di Maria Giulia Sofi
Andiamo laggiù!
Le piramidi dei faraoni, quelle di sale, quelle ‘pensate’ di Sol Lewitt e anche, e non soltanto, quelle dell’enigmistica, seppure diverse tutte sembrano come sfidare qualcosa o qualcuno. Quella loro forma poi è come se rispondesse ad un che di sconosciuto, ascrivibile all’universo.
Sono architetture per antonomasia, che fanno cioè quello che farebbero tutte: in grado di affermasi, oltre che per funzione ed estetica, attraverso un potere su di noi. Sono capaci, in altre parole, di creare e muovere nell’umano un certo stato emotivo, che sia solo da lontano, o pure avvicinandosi. E a tal proposito, forse proprio in virtù di questa loro materia sensibile, si percepiscono come sempre distanti e con tutto il loro antico riserbo. In tal senso tengono come un comportamento di distacco e contegno dal mondo. Allo stesso tempo, poi, di quel riserbo sono figura e immagine, a riproposizione di quel significato del passato, con cui si intendeva un numero di uomini impiegati al controllo, alla sorveglianza, a fare la guardia.
Le piramidi, dunque, fanno forse la guardia a se stesse. E sempre in virtù di quel potere, chiunque intenda avvicinarsi o camminarvi intorno, resta lì sempre vicino, ma in fondo chissà se riuscendo ad entrare mai.
Le piramidi, così possenti e solide, si comportano poi non tanto diversamente dal monte analogo, che è sempre stato fermo lì, ben visibile, ma per chi era quasi giunto ai suoi piedi pareva rimanere celato, inspiegabilmente sottrattosi al mondo intero.